Riflessione sull'unicità, Dovrebbe far parte di un lavoro più grande, ditemi se è un buon inizio :)

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Sir Dinadan
view post Posted on 6/12/2011, 02:30




Quando sono quasi le tre del mattino e tu non dormi anche se sei a pochi passi dal tuo letto, o vivi male o pensi male. Oppure entrambe queste possibilità. E anche se il sonno ti attacca con sbadigli improvvisi e palpebre pesanti, tu lo scacci lavandoti la faccia, passandoci una mano o semplicemente fingendo di non accorgertene. È curioso pensare a quanti nottambuli come me siano in piedi in questo momento. A quanti staranno avendo pensieri simili ai miei. A quanti che come me hanno preso penna e calamaio, fisici o telematici, e stiano riportando questi pensieri su carta. La verità è che qualunque pensiero una persona faccia, esistono altre migliaia, forse milioni di persone che lo stanno elaborando in quel preciso istante o lo faranno a breve. Probabilmente, o meglio realisticamente, non esiste la vera e propria unicità rispetto a tutto il mondo, e molto probabilmente non è mai esistita. Anche i geni, le persone che hanno cambiato la storia e la concezione dell’umanità, avranno avuto persone che pensavano le stesse cose, e forse anche loro lo sapevano. La verità è che nessuno, se abbastanza intelligente da chiederselo almeno una volta nella vita, sa che non è e non sarà mai costantemente unico, perché basta condividere un solo pensiero con qualcun altro per incrociare momentaneamente la sua personalità ed essere simile a lui. E allora questa unicità va cercata nel complesso, ovvero che nella nostra normalità, noi siamo unici in quanto elaboriamo pensieri simili in ordine diverso, nell’ordine delle nostre esperienze: credo quindi che sia questo il metro della nostra unicità, ovvero il nostro cammino esperienziale che determina la nostra unicità rispetto a tutti i nostri simili. E visto che le esperienze sono determinate da molti fattori esterni, questo vuol dire che la nostra unicità dipende dal mondo esterno. Più si staziona in solitudine e si pensa in solitudine, meno la nostra unicità ci è chiara.
A questo punto, il mio ego ferito e curioso vuole andare oltre, e capire a quanto serve il concetto di unicità così descritto, ovvero, in parole più comuni, a cosa ci serve essere unici se in realtà stiamo soltanto reagendo alla nostra realtà esterna, a quella con la quale ci confrontiamo e da cui ci appartiamo in notti come quella che sto vivendo io. Qualche anno fa, quando speravo ancora che i sogni si avverassero semplicemente perché ne avevo, sostenevo in ogni mia azione la mia unicità, il mio essere un guerriero solitario in un mondo sconfitto e vile. Farlo mi faceva sentire sazio, mi spingeva a superare i miei problemi con poche difficoltà perché io ero migliore di tutti gli ostacoli. Quando poi ho capito che la guerra che combatto è quella per essere un uomo comune che ogni giorno vive le sue esperienze e fa le sue scelte, allora ho scoperto che il senso della vita sta proprio nel vivere con unicità pensieri e azioni comuni. Prendo da subito le distanze da coloro che interpreteranno questa mia piccola introduzione riflessiva come elogio della normalità: il mio rapporto con la normalità che rappresento è quantomeno difficoltoso, se non estremamente conflittuale; detesto questa condizione, mi rende qualcosa che non ho mai voluto essere e probabilmente mai saprò essere. Tuttavia accettando la mia condizione e cercando di trarre il maggiore insegnamento e il maggiore appagamento possibile da questa unicità posso continuare ad appartarmi e trovare soluzioni per la condizione di normalità che vivo come un peso, nella continua ricerca della mia unicità solitaria. Quale che sia la nostra unicità, comunque, bisogna farne tesoro e vivere al massimo la vita che ci appartiene. E se davvero l’unica unicità dimostrabile è quella che dipende dagli altri, allora bisogna che essa sia il nostro vanto, il nostro essere.



Dovrei continuare con una riflessione più "pratica" sui fattori esterni che caratterizzano la nostra unicità. Che ne pensate di questa parte?
 
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