MISERY - Erika Marzano

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view post Posted on 7/8/2013, 16:25
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Con questo racconto ho vinto il concorso Storie di Musica organizzato dal forum di Abaluth, il tema era scegliere un brano e lasciarsi ispirare da esso!
Il brano scelto da me è MISERY - The Maine, magari potete ascoltarlo come colonna sonora mentre leggete il racconto.

MISERY

Looking for misery
But she found me lying naked on the floor
I was heading insane,
the devil told me his name
but he’s not welcome here anymore
Stay away sweet misery
!


Ormai la mia vista era quasi completamente annebbiata dal tanto fumo, non riuscivo a guardare al di là del mio naso. Dove prima c’era il soffitto giallognolo con le macchie di umidità e muffa, ora vedevo bizzarre figure roteare e poi sparire.
Sentii la sua risata, lei era sdraiata accanto a me sul pavimento che ora non sembrava più così freddo e duro. Mi voltai; sotto la cortina di fumo, alla mia destra, c’era lei: i capelli ossigenati quasi bianchi che poi a metà diventavano viola, le mani sul viso a soffocare l’ennesima sghignazzata; ancora più a destra, accanto, il mio migliore amico tirava boccate da quella sigaretta rollata male e scoppiava a ridere a intermittenza ogni pochi secondi. Anche lui, come me, a torso nudo sul pavimento.
Con un gesto mi passò la sigaretta, tirai solo una boccata e gliela restituii.
«Ragazzi, questo è il giorno più bello della mia vita!» esclamò lui, Alex, tra una boccata e una risata. «Ma lo era anche ieri» squittì lei. «E il giorno prima ancora» continuai io. «Ah sì? Be’ buon Natale a tutti.»
«Alex, Natale è ormai passato. Dammela, fumare troppo ti fa male.»
Gli strappai la sigaretta di mano e la spensi schiacciandola sul pavimento. «È solo tabacco, giuro!» cercò di giustificarsi mentre rideva. Tabacco o meno era stato l’alcol a fare effetto su di noi e renderci tutti euforici, per dimenticare.
Tutto era rimasto così come l’avevamo lasciato. Tornati dal nostro turno io e Sam fummo bloccati dal padrone di casa, tale Harry Munnigan, che ci sbarrò la strada. «Fate di nuovo casino e giuro che vi butto fuori a calci! Non mi interessa se siete sempre puntuali coi pagamenti, dal primo giorno vi ho detto niente rumori molesti.» Richiuse la porta del suo appartamento di scatto, proprio come l’aveva aperta sentendoci varcare la soglia del portone.
Salimmo le scale silenziosamente, uno accanto all’altra. Tirai fuori le chiavi dalla tasca posteriore dei jeans ma Sam mi fece cenno di fermarmi ostruendomi il passaggio con un braccio.
«È aperta» mi sussurrò lei. Spinsi leggermente l’uscio col palmo della mano.
Alex si stava fumando l’ennesima sigaretta della serata disteso mezzo nudo sul pavimento. L’avevano picchiato ancora una volta, parte del corpo era viola livido e l’altra era bianca pallida.
I vestiti erano sparsi a terra, armadi e cassetti aperti, il materasso e i cuscini del nostro unico letto sventrati, foto e poster staccati dalle pareti e accartocciati, i fogli in mille pezzetti, il lavandino era stato rotto e ora allagava il mini bagno, la tenda della doccia era stata ficcata con forza nel water, la grande bandiera americana che avevamo appeso al muro dietro la scrivania era squarciata e giaceva sulla scrivania. Al suo posto, nel bianco, era stato scritto con della vernice a spray “Il tuo debito è estinto”.

Alex sembrava essere tornato in sé. «Si è arrabbiato per niente. Gli ho semplicemente detto “Non è colpa mia. Se le droghe non funzionano probabilmente ne hai solo bisogno di altre”.»
«Smettila di giustificarti» sbottai io. «Era ora di dargli quello che aspettava da tempo, solo che noi ci andiamo sempre di mezzo.»
Chiusi gli occhi, non volevo discutere. Non volevo pensare.
Feci appena in tempo a sentire Alex uscire tirandosi dietro la porta.
Era un po’ che non guardavo fuori dalla finestra. Tutto grigio. Le strade erano vuote e silenziose, sembrava tutta un’altra città rispetto a pochi giorni prima, giorni di festa.
Faceva freddo, ecco il perché di tutto quel fumo in camera. Non erano solo le sigarette di Alex, era il nostro respiro. Afferrai Sam per mano e lei appoggiò la testa sulla mia spalla mentre cercavamo in qualche modo di rimediare al caos. «Ethan, quanto tempo è che ci conosciamo?»
«Dieci, undici anni forse.»
«Perché il tempo passa così in fretta? Ricordo ancora noi tre, nel tuo giardino, mentre nascondevamo la nostra scatola dei ricordi giurandoci l’un l’altro che saremmo tornati, cinquant’anni dopo, a riprendercela. Promettendoci che non ci saremmo mai lasciati.»
«In cinquant’anni può cambiare tutto. Forse non torneremo nella mia vecchia casa e, per ora, siamo ancora insieme noi tre. Non sono certo io quello che vuole dividerci, se è questo che vuoi sentirti dire.»
«Non voglio sentirmi dire niente, solo che certo tu non lo aiuti.»
«Io non lo aiuto? Magari lui dovrebbe aiutarmi ad aiutarlo. Non credi che abbiamo sopportato anche troppo le sue porcate, Sam? Siamo passati sopra quando abbiamo scoperto che era diventato uno spacciatore, siamo passati sopra quando abbiamo scoperto che era ormai diventato schiavo di quelle pasticche e lo abbiamo disintossicato, ma adesso basta! Hanno distrutto tutto in casa nostra! Credo sia arrivato il momento di cacciarlo.»
Trascorremmo la notte intera a cercare di rimettere in ordine l’appartamento, nessuno di noi fiatò.
Alex non si fece rivedere se non la mattina dopo quando trovò me e Sam stremati stesi su quel che rimaneva del nostro letto. Silenziosamente cominciò a riempire un vecchio e logoro borsone blu con la sua roba. Il movimento mi svegliò; a fatica aprii gli occhi.
«Che fai?» gli chiesi sussurrando per non svegliare Sam.
«Quello che avresti voluto tanto tempo fa, Ethan. Me ne vado. Lascio Sam e te soli soletti a continuare a vivere la vostra vita tranquilli, senza di me, senza difficoltà. Mi dispiace dei problemi che vi ho procurato finora. Se rimango qui sono sicuro che farò bruciare o forse demolire la casa, insomma so che succederà qualcos’altro e voi verrete coinvolti.» Forse stava piangendo, forse no. Non riuscivo a distinguerlo chiaramente dietro il suo occhio nero. Si era fermato un attimo, aspettava che parlassi, magari che lo trattenessi.
«Bene» conclusi. «Chiudi la porta prima di andare via» e tornai a dormire, o meglio a far finta di dormire perché chiusi semplicemente gli occhi.
Sapevo di averlo ferito e forse era proprio quello il mio intento.

Quando mi svegliai, Sam era già in piedi e mi aveva preparato il caffè nell’unica tazza rimasta intatta dopo l’incursione degli “amici” di Alex.
Mi sedetti sul letto e sorseggiai il liquido scuro; la osservavo andare su e giù per il monolocale preoccupata. In una mano stringeva un bicchiere fumante dal quale penzolava una bustina di tè, nell’altra il cellulare di cui guardava ossessivamente il display. I suoi passi a piedi nudi riecheggiavano sulle assi del parquet scadente. «Sono preoccupata, Ethan.»
«Che succede?» le domandai continuando ad assaporare il mio caffè.
«Alex non è tornato stanotte e non riesco a contattarlo. Prima ha chiuso il telefono e adesso è irraggiungibile, deve averlo spento.»
Sam aveva raccolto i capelli in una coda di cavallo un po’ storta e indossava una mia vecchia t-shirt bianca con una stampa divertente.
«Sam, Alex se n’è andato» le annunciai calmo.
Lei si bloccò, le vidi gli occhi riempirsi di lacrime e l’espressione trasformarsi completamente.
«Cosa dici? L’hai fatto veramente? L’hai mandato via? Credevo stessi scherzando. Io… io credevo fossi diverso! E invece no, sei come loro! Come quelli che lo hanno picchiato.»
Le fermai le braccia afferrandola prima che mi colpisse; poco dopo lei mi abbracciò e crollò a terra stremata.
«Non l’ho cacciato io, Sam. Se n’è andato di sua spontanea volontà.»
«Ma tu non l’hai fermato» singhiozzò tra le lacrime coprendosi gli occhi.
«Ha capito che ci creava solo preoccupazioni.»
«Devi trovarlo, Ethan. Devi riportarlo qui. Devi convincerlo.»

Sam sapeva benissimo che non avrei resistito ai suoi goccioloni e agli occhi rossi ed eccomi qui, come ai vecchi tempi, a vagare per la città in cerca del mio migliore amico.
Buffo come Alex non avesse trascorso nemmeno ventiquattro ore fuori di casa e già gli avrei chiesto di tornare. Cosa avrei dovuto aspettarmi, dopotutto? Non sapevo già dall’inizio come sarebbero andate le cose? Questa situazione mi fa pensare a quanto è indovinato il tatuaggio che ci siamo fatti tutti e tre l’anno che siamo andati a vivere da soli. Riassume sicuramente tutta la nostra condizione. Che ragazzi depressi che eravamo noi tre; da bambini con i nostri sogni e le nostre certezze; maturati siamo diventati adolescenti ribelli ma demoralizzati dalle rivoluzioni silenziose che sono passate inosservate mentre si nascondevano nel loro minuscolo buco. Ora da teenagers cresciuti restiamo fedeli al nostro squallore. “Cercavamo la miseria ma lei ha trovato noi stesi nudi sul pavimento”, queste le parole incise sulla nostra pelle.
Anche se era giorno c’era poca luce in giro. Ancora pochi passi e sorpassai un pub; due clienti erano già lì fuori, uno tremava e l’altro cercava di riscaldarsi le mani con l’alito.
Mi strinsi ancora di più nella giacca.
Conoscevo il rifugio di Alex, l’avevo ripescato lì parecchie volte dopo qualche trip andato male.
Al molo c’erano solo un paio di pescatori mezzo addormentati che se ne stavano immobili a osservare il mare grigio e sporco. Mi arrampicai sul muretto; Alex era seduto sul ciglo con le gambe a penzoloni verso il mare, gli scogli sotto di sé e la borsa blu accanto.
Si stava rollando una sigaretta. Non si voltò né si mosse quando mi sedetti accanto a lui.
Però parlò.
«Odio la gente. La gente è mia nemica. Chi dice che solo i buoni muoiono giovani? Anch’io posso farlo. Se voglio.»
«Non morirai giovane, Alex. Non te lo permetterò.»
«Siamo dei fuori di testa, noi tre. Non è vero?»
Risi insieme a lui e annuii per mostrare il mio consenso.
Avvisata da un sms, Sam ci raggiunse poco dopo. Io e Alex eravamo rimasti in silenzio tutto il tempo e la situazione non cambiò quando anche lei si aggiunse al gruppetto.
Sam “cadde” tra le braccia di Alex prima ancora di riuscire a proferir parola.
«Siamo intrappolati in questa nostra esistenza. Sì, siamo costretti perché non abbiamo altro luogo dove poter vagare, cazzo» fu l’unica cosa che disse Alex.
Sta’ lontana da noi, o dolce miseria!

I’ve got excuses for all these things
That I tried in my life
Looking for misery but she found me

 
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