Nitric - Prologo, Nuovo progetto d' "ispirazione"...

« Older   Newer »
  Share  
Huey Nomure
view post Posted on 5/8/2009, 21:28




Assedio

-Roma, periferia
Mario Capuozzo apettava qualcuno da un quarto d’ora. Sbuffò, osservando di nuovo il panorama avvilente che lo circondava. L’atmosfera classica per un sabato pomeriggio, nel locale. La barista, una donna di mezz’età con una ventina di chili di troppo, continuava a versare vino rosso da una bottiglia agli avventori al bancone. Su due tavolini dei vecchi giocavano a carte, protestando animatamente. Lui era seduto sul terzo tavolino. L’unico altro tavolo era libero. D’un tratto Mario decise che odiava profondamente i vecchi che giocano a carte. Cominciò a tamburellare sulla superficie ruvida del tavolino. Era vestito con una camicia rosa salmone, un paio di jeans e una giacca nera. Una chiazza cominciava a scorgersi sotto la sua ascella. Alzò un dito, rivolgendosi alla barista. Lei continuò a pulire il bancone. Si schiarì la voce. Nessuna reazione.
-Mi scusi?- la donna alzò lo sguardo dallo straccio. -Mi porta una birra?- Lei rimase in attesa, come se attendesse di sentire qualcosa. -…per favore.-
Finalmente sembrò decidersi. Annuì e si girò per cercare una bottiglia. Mario Capuozzo era speranzoso. Magari questa volta aveva capito. Tornò a guardare la porta d’ingresso. Non si ricordeva neppure chi doveva arrivare. Ricordava il fatto che fosse una persona particolare, che avrebbe riconosciuto subito, ma non gli veniva alla mente il perché.
-Ecco a te.- L’uomo abbassò lo sguardo, trovando sotto il suo naso un bicchiere di vino rosso.
-Grazie, signora.- Mario riuscì a contrarre il viso in un sorriso imbarazzato. Lei non rispose e tornò al bancone. Non appena fu abbastanza distante bisbigliò un insulto vagamente riguardante le sue abitudini sessuali. Prese i quattro bicchieri sul tavolino e li dispose a rombo vicino ai bordi del tavolino. Tracciò con il dito un cerchiò in mezzo, quando sentì un dolore improvviso. Si trattenne a stento dall’imprecare a gran voce ed andarsene. Si tolse la scheggia dal dito dopo aver armeggiato un po’ e vuotò il bicchiere. Ormai la quesione era se la persona che avrebbe dovuto incontrare l’avrebbe trovato ubriaco.

Dopo un’ulteriore decina di minuti la porta si aprì. Entrò una persona che Mario Capuozzo dapprincipio identificò come un ragazzo, dalla tuta nera larga e con cappuccio che indossava. Poi si accorse dei capelli bianchi. Ad una prima vista sembrava avere una cinquantina d’anni. Mario Capuozzo si rese immediatamente conto che era lui che stava aspettando. L’abbigliamento era di per sé una stranezza sufficiente, ma i particolari che lo convinsero furono le infradito nere, che oltretutto sembravano essere di un paio di misure più grandi del piede dell’uomo. Questi si sedette davanti a lui, riaggiustandosi gli occhiali con un leggero tocco del medio.
-Gianni Sandrelli?-
-Preferirei che mi chiamasse Gabriel.-
-Ok, Gabriel. Io sono Mario Capuozzo, sono qui al posto di…-
-So per conto di chi è qui. Ho sentito che ha del lavoro per i miei “ragazzi”. Mi porti una birra, Assunta?-
Mario Capuozzo alzò un sopracciglio. Alzò il secondo e spalacò gli occhi quando vide che la donna gli aveva portato davvero una birra. Gabriel Sandrelli bevve un sorso dalla bottiglia, dopo aver espresso un distratto commento sulla marca non eccessivamente rinomata della birra. Quindi si leccò i mezzi baffi che sovrastavano la sua bocca e fissò il suo interlocutore, attendendo che cominciasse a raccontare.
-Ehm, sì. Il boss aveva chiesto che venisse a conoscenza di quello che succederà a breve.-
-Mi “ragguagli”, allora.-
-Ad alcuni picciotti è giunta notizia che degli agenti sarebbero venuti qui per arrestare Lamberto Rossi, il commercialista che ha rubato più o meno un milione di euro al primo ministro di non ricordo che paese.-
-Da quando la polizia si interessa ai reati esterni all’Italia? Non sono nella loro giurisdizione.- Gabriel Sandrelli aveva cominciato a farsi interessato. Portò la bottiglia di birra alle labbra, prendendone un piccolo sorso aspettando la risposta.
-E’ questo il punto. E’ nella loro giurisdizione perché sono agenti di quel paese.-
-Hmm. Basterà rimandarli a quel paese. No, scusa, era pessima. Ma non è troppo sbagliato. Il capoccia della polizia non può rimandarli in patria?-
-No, perché ufficialmente lui non dovrebbe neanche saperlo. E dubito che lo sappia, in realtà.- Mario Capuozzo si sporse verso di lui, appoggiando i gomiti sul tavolino. La sua intenzione era di fare una pausa ad effetto prima di mollare la bomba, ma Gabriel capì subito dove voleva andare a parare.
-Agenti segreti.-
-Precisamente. Non capiamo perché abbiano scomodato la polizia segreta, dopotutto non è una somma così colossale.-
-Dimentichi che non tutti i premier sono schifosamente ricchi come il nostro.-
-E’ irrilevante. Deve aver fatto qualcos’altro.-
-Devo scoprire cosa?- Gabriel Sandrelli corrugò le sopracciglia. Ebbe l’impressione di sentire l’odore di carne al sangue, cosa che gli succedeva quando aveva il presentimento di star per entrare in qualcosa di grosso.
-No. Il boss ha deciso di contattarti perché dice che potresti aiutarci a gestire la cosa.-
-Avete un quando e un dove?-
-Cosa? No, non sappiamo quando arriveranno. Ha chiesto che tu rimanga pronto ad intervenire.-
Gabriel Sandrelli annuì,fissando i suo bicchiere ancora intatto.
-Ovviamente sa che la cosa non sarà gratis.-
-Beh, non credo che aspettare ti costi qualcosa.- Toccò a Mario Capuozzo corrugare le sopracciglia.
-Non è che non abbia altro da fare e che stia tutto il giorno a grattarmi le palle. 100 euro a giornata di allerta, e vi garantisco che farò arrivare il mio ragazzo al più presto non appena mi chiamerete.- Gabriel Sandrelli cominciava ad innervosirsi con il suo interlocutore, che lo aveva identificato come un galoppino del boss. La sua espressione, tuttavia, non cambiò.
-Non puoi pretendere che ti paghiamo per non fare nulla. Tu sei pazzo.- In compenso Mario Capuozzo sembrò prendere fuoco. La sua faccia grassoccia aveva un’espressione di furia quasi assassina che non era decisamente nel suo stile.
-Sono completamente d’accordo. Ma sono anche utile. La nostra conversazione si chiude qui.- Gabriel, come aveva annunciato, si alzò in piedi lasciando dieci euro sul tavolo e si voltò verso la porta. Non appena Mario estrasse la pistola sentì una manciati di armi da fuoco inserire il colpo in canna. Non ebbe bisogno di girarsi per sapere che metà degli avventori del locale lo tenevano sotto tiro. Abbassò lentamente l’arma, e alla fine inserì la sicura e l’infilò nella cintura. Gabriel Sandrelli non diede segno di accorgersi quello che gli succedeva attorno a lui, salutò con un cenno la barista che impugnava una Colt e uscì dal locale.

Uscito dal bar, Gabriel chiamò un taxi. Mentre aspettava cominciò a riflettere su una proposta che gli era stata fatta da una bellissima ragazza di vent’anni. Era molto interessato, ma temeva che qualcuno riuscisse a prenderlo in castagna ed a scoprire tutto. Dopotutto era una cosa più o meno illegale. Era stupefatto dalla tranquillità della giovane donna quando gli aveva detto che era disponibile in quel senso. D’accordo, probabilmente voleva qualcosa in cambio, ma… l’idea lo intrigava troppo.
L’arrivo del taxi interruppe i suoi pensieri. Gabriel sedette in uno dei posti dietro e diede all’uomo che guidava un indirizzo.
-E’ sicuro che a Roma ci sia una via con quel nome?-
-Infatti è a Rieti.-
-Le verrà a costare, sa questo?-
-Oh, non credo.- Estrasse il portafogli dalla tasca, e dopo averlo aperto prese senza indugi un biglietto e una banconota da venti euro. Il tassista sbiancò. Fece per ridare tutto al suo cliente, ma quello prese solo il biglietto.
-So quello che probabilmente stai pensando, ma non voglio proprio lasciarti senza neanche un soldo. Vai, non mi piace discutere di soldi.- Il tassista, da quello che Gabriel poteva leggere dalla licenza Giulio Marconi, partì sgommando.
-La prego, potrebbe non attirare l’attenzione? Già di mio sono facilmente riconoscibile…- L’auto decelerò, mantenendosi nei limiti di velocità. -Grazie mille.- Giulio non riuscì a reagire, se non con un frettoloso cenno d’assenso. Cominciava a sudare freddo.

Il viaggio in taxi non ebbe imprevisti. All’arrivo Gabriel ringraziò l’autista e chiuse la portiera. Passò attraverso un portone aperto, attraverso un ampio giardino corredato da panchine e alberi di vario tipo e infine giunse davanti ad un edificio a tre piani, con una facciata larga un centinaio di metri. Estrasse il portafoglio, cui aveva legato un mazzo di chiavi, e dopo una rapida ricerca ne impugnò una, aprendo la porta d’ingresso. La chiuse con un piede dietro di sé, quindi procedendo attraverso l’atrio si tolse la felpa nera, appallottolandola e tenendola sotto il braccio finchè dopo un breve corridoio raggiunse una porta a vetri. Aprendola lasciò cadere l’indumento appallottolato su una sedia subito accanto all’ingresso aldilà della soglia. Diede uno sguardo distratto al suo ufficio. Oltre alla piccola sedia accanto alla porta, c’era un attaccapanni, una scrivania di legno massiccio con sopra un monitor e una tastiera, un blocco di fogli bianchi, alcuni moduli compilati e una serie di penne nere e matite di varia durezza. Dalla parte dello schermo faceva la sua figura una poltrona in stile antico, mentre dall’altra parte tre sedie con i braccioli erano disposte in angolazioni apparentemente casuali. L’arredo era completato da due librerie, una completamente zeppa di fumetti di vario genere e una che ospitava numerose custodie di videogiochi per Playstation e Xbox, più dei libri, tra cui erano mescolati trattati, saggi e traduzioni sulla psiche umana. L’uomo accolse con piacere la temperatura della stanza. Quell’ufficio ed il resto dell’edificio erano collegati a sistemi di condizionatori diversi, dato che mantenere tutte le altre stanze a quattordici gradi centigradi sarebbe stato sgradito ad alcuni e decisamente costoso. Gabriel chiuse la porta dietro di sé, per poi sentirla riaprire dopo pochi secondi.Aveva sentito dei passi seguirlo, ma aveva fatto finta di non notare niente. Entrò un uomo di mezz’età, con il ventre tondo da bevitore di birra, i capelli neri tirati indietro che risaltavano la sua stempiatura. Era decisamente più basso di Gabriel, e anche più anonimo. Portava quasi sempre una camicia nera e un’espressione corrucciata, o almeno per quanto ne sapesse Gabriel non si rilassava mai. Aveva in mano dei fogli e sembrava più irritato del solito.
-‘milla ha avuto uno dei suoi attacchi, ed era ancora più agitata del solito. Abbiamo dovuto tranquillizzarla e immobilizzarla.-
-L’avete messa in isolamento?- L’uomo, che si chiamava Alberto Lo Nardo, annuì deciso. Gabriel sapeva la risposta ancora prima di porre la domanda. Di solito il suo dipendente si innervosiva quando prendeva delle misure che non approvava. Sospirò con aria sconsolata.
-Non avevamo scelta. Ha addirittura ferito Stella, non potevamo lasciarla libera.-
Gabriel si girò di scatto. Alberto detestava i nomi stranieri, e in quel caso utilizzava la traduzione del nome in italiano.
-Cosa le è successo?-
-Milla le ha tirato una testata e l’ha colpita alla clavicola. Non so come, ma deve avergliela rotta. Per adesso il dottore le ha immobilizzato il braccio e ha detto che ne avrebbe parlato con lei.-
Gabriel Sandrelli si sedette sulla sua poltrona, e la fece girare su se stessa tramite il perno sottostante. Nonostante l’aspetto antico, all’interno la poltroncina presentava la struttura di una sedia da ufficio. Poi si spinse verso la scrivania con un calcio e raccolse le carte che Alberto aveva appoggiato sulla scrivania. Le diede una rapida occhiata, giusto per vedere la correttezza della forma, quindi le adagiò su quelle già presenti nell’angolodella scrivania.
-Se posso esprimermi, dottore, avrei una soluzione per risolvere questi problemi.-
-E quale sarebbe?- Chiese Gabriel sospirando. Sapeva già fin troppo bene la risposta che gli avrebbe dato e, per di più, che se non l’avesse lasciato dire quel che pensava sarebbe diventato intrattabile.
-Un bel falò, dottor Sandrelli. Puliamo un po’ il mondo.-
-Peccato che sia quella che tu chiami sporcizia a darci parte del nostro stipendio. E secondo, non vedo cosa c’entri questa volta.-
-Stella deve averla provocata.-
-Camilla è abbastanza grave da avere un attacco mentre guarda i cartoni animati. Quella che tu chiami provocazione può anche essere stato anche un atto di gentilezza.-
Alberto lo Nardo uscì rabbuiato borbottando qualcosa riguardo “quella puttana polacca”. Gabriel riordinò le carte sulla scrivania, collegò l’Xbox 360 al monitor del computer e inserì il disco di Soul Calibur 4. Aprì un cassetto pieno di attrezzatura informatica e ne tirò fuori un controller wireless. Lo accese, impostò la difficoltà massima e cominciò a far pestare il suo avatar grande, grosso e armato di spadone da una piccoletta con uno spiedino in mano.
Un quarto d’ora dopo, mentre riusciva a scagliare la piccola avversaria virtuale dall’arena, alzò gli occhi verso un preciso punto della parete spoglia.
-Lei è serba.-
Poi riabbassò gli occhi in tempo per vedere il suo guerriero accasciarsi a terra.

Il dottore arrivò un’oretta dopo. Era una donna di colore bassina e tarchiata, ed aveva un’aria severa. Squadrò con un occhio critico Gabriel Sandrelli e in special modo il modo in cui era vestito. Diciamo che il fatto che facesse per lavoro il direttore di un ospedale psichiatrico e indossasse a volte una maglietta che riportava la scritta Can I Play With Madness? era un tantino di cattivo gusto, nonostante fosse solo una citazione di una canzone degli Iron Maiden. Inoltre era vestito in pantaloni di tuta larghi e portava i capelli lunghi nonostante avesse passato i quaranta da un bel pezzo. Non ispirava molta fiducia, diciamo. Ma in ogni caso era il signor Gabriel Sandrelli ad essere responsabile della sua paziente, quindi non aveva molta scelta.
-Come sta la ragazza?-
La domanda dell’uomo interruppe le sue valutazioni personali. Si prese un attimo per riordinarsi le idee, quindi rispose con i convenevoli di rito.
-Innanzitutto mi presento. Mi chiamo Elisabetta Ovusu.-
Gabriel la fissò negli occhi per un attimo, quindi si accorse della sua mano tesa. Non sentì il bisogno di presentarsi. lo faceva già la targhetta sulla scrivania. Le strinse la mano solo per farla continuare. Piuttosto ripetè la domanda.
-Grazie per essere venuta. Come sta la ragazza?-
Elisabetta tentò di capire se il suo interessamento fosse sincero o prettamente professionale, ma decise di non farlo aspettare troppo.
-Come penso le abbia già detto il suo assistente, la signorina Stella è stata colpita alla clavicola. L’urto è stato forte, e l’osso ha subito danni abbastanza gravi, anche se non si è rotto. Ho ritenuto di dover immobilizzare la parte colpita immediatamente, per evitare che qualche movimento inatteso potesse danneggiare ulteriormente l’osso.-
-Come?-
-Ho utilizzato un guscio di plastica rigida e delle cinghie simili a quelle dei caschi per motorino per legarle la spalla. Finchè lo indosserà non potrà muovere la spalla, ma sarà al sicuro da peggioramenti.-
-Personalmente ritengo che l’ambiente sia sicuro.-
-Se fosse così sicuro io sarei ancora a completare il mio sudoku in una sala operatoria deserta.-
Gabriel sembrò sorpreso per un attimo, poi fece un sorriso storto.

CONTINUA forse...

Questa in realtà è solo la prima parte del prologo, infatti il titolo per ora sembra non avere senso.
 
Top
0 replies since 5/8/2009, 21:28   52 views
  Share